venerdì 17 settembre 2010

    


 L'Invasione degli Aryani in India




 Di             

Manonath Dasa
( Mario Savelloni )

Tutti i diritti riservati al Signore Supremo.
I lettori sono incoraggiati a distribuire le informazioni
contenute in questo libro in ogni possibile modo,
citando debitamente la fonte
    
INDICE

4 - La teoria dell’invasione degli Aryani
  5 - Cosa implica tale ipotesi?
  7 - Le ragioni della non-accettazione
12 - Chi sono i teorici dell’invasione Aryana
14 - Analisi storica della Teoria
16 - I punti salienti
17 - La conquista di Harappa e Mohenjodaro: verità o falsità?
21 - La prospettiva letteraria
30-Cronologia del periodo preistorico in  India
32 - L’analisi cronologica Vaishnava
34 - Un paradosso
36 - La prospettiva archeologica
38 - La scoperta della città sommersa
  di Dvaraka
40 - Il fiume Sarasvati scoperto
42 - Il Sarasvati nel Rig-Veda
43- Altro dall’archeologia
44- La prospettiva religiosa: l’adorazione di Shiva
48- La prospettiva linguistica
54 - Conferme dalla matematica indiana
55 - Esiste una razza Aryana?
58 - I Dravidiani nella letteratura Vedico-Puranica
60 - I Dravidiani come preservatori della cultura Vedica
61 - Argomentazioni astronomiche
64 - Conseguenza della Teoria dell’Invasione Aryana nel contesto sociale indiano
66 - Opinioni: S.R.Rao
68 - Opinioni: Swami Vivekananda
69 - Opinioni: David Frawley
71- Opinioni: Bhagwan Gidwani
74- Conclusione
76- Bibliografia


La Teoria dell’invasione degli Aryani
Una delle dottrine maggiormente usate per interpretare, spesso con l’intenzione di gettare discredito, la storia dell’antica India, è la teoria dell’invasione Aryana. Secondo questa teoria, verso il 1500 AC l’India fu invasa e conquistata da eserciti di popolazioni dalla pelle chiara che provenivano dall’Asia Centrale. Questi, detti Aryani, assoggettarono militarmente una civiltà più avanzata della loro e dettero vita a ciò che poi sarebbe stata chiamata la cultura Hindu, così denominata perché la regione in cui i loro attacchi furono concentrati fu la zona della valle del fiume Indo.
I difensori di questa ipotesi affermano che prima della venuta degli Aryani esisteva in quella regione un’evoluta civiltà detta Dravidica, la quale si estendeva in un vasto territorio che andava dai confini orientali del presente Stato dell’Uttara Pradesh fino all’Afganistan. Questa presenza sarebbe comprovata dai numerosi reperti archeologici ritrovati nella valle dell’Indo. I primi ritrovamenti, effettuati nel 1920 ad Harappa e a Mohenjodaro, mostrarono che questo vasto regno fu abbandonato in circostanze misteriose dai suoi abitanti. Alcuni storiografi non hanno trovato teoria migliore di quella che attribuisce tale esodo di proporzioni bibliche a un’invasione straniera. A queste tribù nomadi, provenienti da terre imprecisate e dedite al brigantaggio, alla caccia e alla pastorizia, si è accreditato l’elaborazione della letteratura Vedica, la più vasta che si conosca, e la creazione della lingua Sanscrita, il linguaggio degli Dei.

Cosa implica tale ipotesi?
Innanzitutto bisogna constatare che molti studiosi, nel campo della storia dell’umanità, hanno il difetto di concludere in modo molto frettoloso e superficiale le proprie ricerche, con la conseguenza che le loro personalissime opinioni acquistano sempre più valore di verità scientifiche ineluttabili ed inattaccabili. Fortunatamente, però, una parte delle teorie che propongono sono innocue; altre, invece, provocano reazioni sociali a catena che causano veri e propri disastri. L’ipotesi dell’invasione Aryana è una di queste. Nel caso che questa teoria venisse comprovata, le implicazioni sarebbero pesantissime; i Veda non avrebbero alcuna nobile origine e mentirebbero riguardo le datazioni dell’identità dei loro autori; i Purana non sarebbero testi di storia ma letteratura mitologica tutta da interpretare; le Scienze Vediche non sarebbero originali, bensì prese a prestito da culture occidentali tra le quali quella greca. Con questi fatti la cultura Hindu diventerebbe un guazzabuglio di concetti estrapolati qua e là.
La teoria dell’invasione Aryana non è soltanto argomento di dibattito accademico, ma condiziona la percezione dell’evoluzione storica dell’India, le sorgenti del suo antico e glorioso retaggio e le locali istituzioni socio-economico-politiche che si sono sviluppate nei millenni. Conseguentemente, la validità o l’invalidità di questa teoria avrebbe un forte impatto sull’orizzonte contemporaneo dell’India politica e sociale, così come sul futuro del nazionalismo indiano. L’argomento è tanto rilevante oggi come lo era cento anni fa, quando fu astutamente introdotto nei testi scolastici dai colonialisti Britannici. Le ultime due decadi hanno testimoniato un interesse sempre crescente tra studiosi, scienziati e nazionalisti, in quanto si ritiene che questa teoria abbia portato un grave danno alla psiche della società indiana e abbia contribuito in modo considerevole a creare scismi spesso irrisolvibili tra le differenti sezioni della società Hindu.
Questo soggetto deve necessariamente interessare tutti coloro che amano la cultura Vedica, perché il dubbio sull’autenticità delle affermazioni ivi contenute mina l’opportunità dello studio stesso. Se non è vero (per fare alcuni esempi) che i Veda siano stati elaborati da Vyasadeva e poi insegnati da grandi santi come Sukadeva Gosvami e Suta Gosvami; se non è vero che la battaglia di Kuruksetra è stata combattuta al tramonto di Dvapara-yuga e che il Kali-yuga inizia esattamente nel momento in cui Srì Krishna abbandona questo pianeta; se è vero che il Mahabharata riporta mitologie e non fatti storici; ebbene, quale credibilità hanno i Veda e le Scritture che da loro derivano? Perché qualcuno dovrebbe spendere la propria vita nell’osservanza dei loro dettami religiosi? Perché studiare e applicare i principi filosofici in essi contenuti? Che senso ha lavorare duramente per diffondere idee spirituali se queste non provengono da Dio stesso?
La teoria dell’invasione è stata la punta di diamante nel tentativo, purtroppo in parte riuscito, di screditare l’intera nobile saggezza Vedica per imporre i valori occidentali basati sull’ateismo e sul materialismo.

Le ragioni della non-accettazione
Va detto subito che questa teoria è ben lungi dall’essere stata scientificamente provata. Sebbene sia accettata da molti indologi e studiosi di materie varie, le falle e le contraddizioni che presenta sono enormi e inconciliabili. Quindi il nostro compito sarà proprio quello di riportare alla luce tutte le contraddizioni di questa teoria e contemporaneamente dimostrare l’autenticità delle nostre fonti. Fino a qualche anno fa, le risposte dei fondamentalisti Vedici, pur utilizzando argomenti solidi di tipo storico, astronomico e matematico, hanno avuto un impatto debole, anche perché l’”establishment psicologico umano” preferiva l’altra teoria, in modo da non avere l’imbarazzo della presenza ingombrante di una scienza di origini divine. Oggi, grazie all’apporto dei reperti archeologici e di nuove tecnologie come le analisi satellitari e l’elaborazione computerizzata, la mendacità e la sua motivazione politica appare chiara a chiunque intenda vedere.
L’aspetto peggiore di questa teoria è che non ha basi in nessun documento redatto in India. Né i Veda, né i Purana, né le Upanishad, né alcun altro scritto tradizionale menzionano neppure lontanamente un’invasione di quel genere. Eppure sarebbe dovuto essere un avvenimento di enormi proporzioni che avrebbe causato la migrazione di milioni di persone. Le Itihasa Vediche non sono avare di narrazioni di guerre e avvenimenti disastrosi, per cui non si vede la ragione di tacere proprio su quello che avrebbe condizionato il corso della storia di buona parte del pianeta. Tanto più che gli autori di quei testi sarebbero i vincitori e non gli sconfitti. Oramai, tutti i maggiori studiosi del campo, anche quelli che non hanno un eccessivo riguardo verso la Cultura Vedica, cominciano a manifestare seri dubbi. Appare chiaro che questa fu un’idea partorita dalle necessità politiche del XIX secolo, una storia inventata di sana pianta per servire i fini della politica imperialista europea (tedesca e britannica in particolare). Gli inglesi avevano tutto l’interesse a dividere la società indiana su linee etniche e religiose da un lato, e dall’altro facilitare il tentativo di cristianizzare l’India. Hanno imposto questa versione della teoria nel curriculum delle scuole, sapendo che le cose imparate in gioventù hanno una presa maggiore nella psiche umana. La cosa che lascia tuttavia sorpresi è che, dopo decenni dalla conquista dell’indipendenza, venga ancora insegnata nelle scuole indiane e che i docenti non siano affatto disposti ad emendare i testi scolastici.
Per migliaia di anni la società Hindu ha guardato i Veda come la sorgente di tutta la conoscenza spirituale e materiale, e come l’alfiere della cultura Hindu, del suo retaggio, del suo motivo stesso di esistere. Mai nessuno aveva messo in dubbio in modo così radicale la loro autenticità. Persino i pellegrini occidentali e orientali che hanno documentato le loro esperienze durante il loro prolungato soggiorno in India, hanno testimoniato e documentato l’importanza della letteratura Vedica, e mai si sono sognati di dire che avessero origini straniere. Poi, all’improvviso, a qualcuno viene in mente di negare che i Veda appartengano agli Hindu e che invece sono creazione di un’orda barbarica di tribù nomadi che discesero dal nord dell’Asia. Qualcuno suggerisce persino che il Sanscrito non sia di origini indiane. Tutto questo è assurdo. Un’orda di barbari nomadi non può, con tutto lo sforzo di immaginazione, produrre una saggezza tanto sublime, delle esperienze spirituali di quest’ordine, una filosofia universale di tolleranza religiosa e di armonia universale come si può trovare nella letteratura Vedica.
Negli ultimi due decenni, le numerose scoperte archeologiche hanno mostrato che la fine della civilizzazione di Harappa non sopraggiunse a causa di questa fantomatica invasione Aryana ma, probabilmente, come risultato di disastri naturali, come inondazioni e siccità. La scoperta della traccia perduta del fiume Vedico Sarasvati, lo scavo di una catena di siti ad Harappa, a Ropar, nel Punjab, fino a Lothal e a Dhaulavira nel Gujarat, la scoperta delle rovine archeologiche di vedi (altari) e di yupa connessi con gli yajna (sacrifici) Vedici in luoghi come Harappa e Kalibangan, le decifrazioni degli scritti Harappo-Hindu da parte di molti studiosi e la loro definitiva classificazione come un linguaggio appartenente alla famiglia Vedico-Sanscrita, le conclusioni di archeologi come il Prof. Dales, il Prof. Allchin etc., la scoperta della città di Dvaraka persa sotto il mare vicino la costa del Gujarat e le sue sorprendenti similarità con la civilizzazione di Harappa; tutti questi nuovi ritrovamenti e la loro interpretazione oggettiva, accurata e contestuale ai Veda, indicano in modo convincente che la civilizzazione Harappo-Hindu coincide con una civiltà Vedica o, come la chiamano taluni, post-Vedica, ed esige un forte riesame critico dell’intera teoria dell’invasione e l’ammissione che questa sia stata artificialmente imposta nella psiche degli indiani da alcuni manipolatori europei e storici marxisti.


Chi sono i teorici dell’invasione Aryana
La maggior parte degli originali propositori non erano storici o archeologi, ma avevano scopi religiosi e politici da conseguire. Max Muller era un ricercatore tedesco al soldo della Compagnia delle Indie Orientali, la quale progettava a tavolino la conquista della ricchissima India. Altri, come Lassen e Weber, erano ardenti nazionalisti tedeschi che non avevano alcuna autorità in materia, una scarsa conoscenza della cultura indiana, ed erano motivati dal desiderio di provare la loro teoria della superiorità delle razze nordiche chiamate, per l’appunto, Aryane. Tutti sanno che quella che nacque come una banalità da intellettuali si sarebbe allargata fino a sfociare nell’evento più calamitoso del XX secolo, la Seconda Guerra Mondiale.
Anche all’epoca, questa trovò numerosi sfidanti di rilievo, come C.J.H. Hayes, Boyed C. Shafer e Hans Kohn, i quali avevano condotto studi profondi sull’evoluzione e sul carattere del nazionalismo in Europa. Questi validi professori avevano denunciato subito la scarsa scientificità di molte delle scienze che, nel XIX secolo, erano state strumentalizzate per creare il mito della razza Aryana; ed è un vero peccato che questi non abbiano trovato un appoggio sufficiente negli ambienti degli intellettuali indiani, i quali avrebbero, invece, dovuto essere in prima linea. Oggigiorno, anche se numerosi personaggi celebri come Dayananda Saraswati, Bal Gangadhar Tilak e Aurobindo hanno tuonato contro questa invenzione, la maggior parte degli Hindu la accetta passivamente. Questo permette agli occidentali, per la maggior parte di tendenza cristiana, di interpretare in modo riduttivo la loro storia. Ancora oggi molti Hindu condividono e persino onorano le traduzioni dei Veda fatti da studiosi missionari cristiani come Muller, Griffith, Monier-Williams e H.H.Wilson. Ci domandiamo se i cristiani moderni accetterebbero un’interpretazione della Bibbia fatta dagli Hindu, se redatta allo scopo di convertirli all’Induismo.
In seguito, lo stesso Max Muller avrebbe fatto marcia indietro su alcuni aspetti della teoria Aryana, in quanto nella letteratura Sanscrita il termine arya non è stato mai usato per indicare una razza. Non riuscendo a trovare una sola citazione che avvalorasse la sua tesi, vedendo vacillare la sua credibilità personale, affermò che non aveva inteso dare al termine un significato razziale, ma che indicava un gruppo linguistico. Come vedremo in seguito, anche questa definizione è fallace. Nonostante il ripensamento, il danno era oramai fatto. I gruppi nazionalisti tedeschi e inglesi strumentalizzarono l’idea della superiorità della razza bianca, concetto che Hitler avrebbe poi usato per perpetrare le sue ben note barbarie contro l’umanità: l’olocausto degli ebrei e la Seconda Guerra Mondiale.
Mentre in Europa il fenomeno razzista si sta esaurendo, in India, purtroppo, nonostante il ritiro dei colonialisti britannici, il problema è ancora sentito.

Analisi storica della Teoria
Come abbiamo già detto, nel XIX secolo alcuni studiosi e ricercatori occidentali, tra cui il tedesco Max Muller, decisero che una razza dalla pelle bianca, chiamata Aryana, doveva essere venuta a conquistare l’India, in modo particolare la valle dell’Indo. Giacché al loro arrivo gli Aryani trovarono una civiltà che popolava la regione, quest’ultima fu chiamata pre-Aryana, conferendo così maggiore importanza all’invasore che all’invaso. La data assegnata a questo evento è il 1500 AC. La ragione di tale datazione è totalmente speculativa; essendo Max Muller un convinto cristiano che mai avrebbe dubitato della cronologia biblica, pensò che l’esistenza di queste popolazioni non potessero risalire a prima del 2000 AC. Infatti la Bibbia dichiara che il mondo iniziò 4000 anni prima di Cristo e che il grande diluvio ci fu verso il 2500 AC. Sulla base di queste informazioni, sarebbe stato impossibile per gli Aryani trovarsi in India prima del 1500 AC. Di conseguenza, lui ed altri giunsero a stabilire che i quattro Veda originali non potevano esistere prima di due secoli dalla nascita del Buddha il quale, in accordo alla cronologia corrente, nacque e visse verso il 500 o il 600 AC. In base ad un’analisi linguistica (e ad altre prove delle quali parleremo in seguito) si nota subito quanto questa datazione sia scorretta.
Inoltre la storia corrente ci informa di invasioni di popolazioni indoeuropee, come gli Hittiti, i Mittani e i Cassiti, che hanno invaso e governato la Mesopotamia per diversi secoli in quegli stessi periodi, per cui si ritiene che anche l’India potesse essere stata investita dal fenomeno delle invasioni barbariche. Ma gli ultimi rinvenimenti archeologici bocciano questa ipotesi. Lo studio di questi antichi popoli ci fornisce alcuni dati interessanti. Queste popolazioni non erano affatto barbariche, bensì parte della cultura Vedica stessa. I Cassiti, Aryani dell’antico medio-oriente, adoravano gli dei Vedici Surya e Marut, e anche uno chiamato Himalaya. Gli Ittiti e i Mittani, attorno al 1400 AC, firmarono un trattato con i nomi degli Dei Vedici Indra, Mitra, Varuna e Nasatya. Troviamo nella letteratura Ittita un trattato sulla corsa dei carri scritto in un Sanscrito quasi puro. Gli Indo-Europei dell’antico medio-oriente parlavano lingue Indo-Aryane, non Indo-Iraniche, testimoniando la presenza della cultura Vedica anche in quella parte del mondo.

I punti salienti
Nonostante il ripensamento di Max Muller citato sopra, nei circoli accademici viene accettato che:
- per Aryano s’intende una razza. Avvalora questa ipotesi la citazione nella letteratura Vedica di conflitti tra popolazioni e i ritrovamenti di scheletri negli scavi di Mohenjodaro e Harappa;
- gli Aryani erano un popolo nomade, dalla pelle chiara. Su questo non ci sono prove di alcun tipo, solo pure congetture e interpretazioni degli inni Vedici che in alcuni casi sfiorano anche il ridicolo.
- che la cultura della valle dell’Indo non era Aryana perché veniva adorato Shiva, perché si usavano i carri, perché non ci sono tracce di esistenza di cavalli e perché adottavano discriminazioni di casta e di razza.
- la data dell’invasione, il 1500 AC, è arbitraria e speculativa. In Mesopotamia e in Iraq c’era gente che adorava Dei Vedici in data 1700 AC (1).

La conquista di Harappa e Mohenjo-daro:
verità o falsità?
Gli invasionisti affermano che gli scavi di Harappa e di Mohenjo-daro, in cui sono stati ritrovati degli scheletri umani, hanno offerto una prova scientifica alla loro teoria. Ma è un altro tentativo di mistificazione.
Il Prof. G.F.Dales (già Capo del Dipartimento di Archeologia e Antropologia Asiatica dell’Università di Berkeley, USA), nel suo The Mythical Massacre at Mohenjo-daro, Expedition Vol VI,3 1964, dice:

“Cosa c’è in quegli scheletri di così importante? Si tratta di una fama davvero immeritata. In nove anni di scavi capillari a Mohenjo-daro(2), una città di tre miglia di lunghezza, sono stati ritrovati solo 37 scheletri che possono essere fatti risalire al periodo  della civiltà Hindu, e neanche tutti interi.

(1) Si veda (Biblical Chronology)
(2) Dal 1922 al 1931
Qualcuno di loro è stato ritrovato in posizioni tali che a tutto possono far pensare tranne che a una sepoltura ordinata…” Sono stati tutti ritrovati nell’area della Città Bassa, che proba-
bilmente era il quartiere residenziale. Nell’area della cittadella fortificata non è stato trovato  neanche un corpo che potesse suggerire una difesa strenua contro orde nemiche”.
Poi chiede:
“Dove sono le fortezze bruciate, le frecce, le altre armi, i pezzi di armature, i carri distrutti e i corpi di invasori e difensori? Nonostante lunghi scavi nei più grandi siti di Harappa, non è stata trovata una seppur piccola prova di una conquista armata delle popolazioni locali”.
Colin Renfrew, professore di Archeologia a Cambridge, nel suo famoso lavoro Archeology and Language: The Puzzle of Indo-European Origins (3), a riguardo del vero significato e dell’interpretazione degli inni del Rig-Veda, dice: “Molti hanno fatto notare che un nemico ricorrente era il Dasyu. Alcuni affermano che il Dasyu rappresentava la popolazione locale che non parlava il Vedico, espulsi dalle incursioni della guerra degli Aryani. Ma non c’è nulla negli inni del Rig-Veda che dimostri
questo fatto. Come si può affermare che le popolazioni che parlavano il Vedico erano gli

(3) Cambridge Univ. Press, 1988

stranieri e non i locali? Questo è solo un pregiudizio, un assunto storico accettato in modo dogmatico. E’ vero che gli Aryani invo- cassero l’assistenza degli Dei per conquistare città e fortezze nemiche, ma non c’è nessuna prova che loro stessi non avessero città e fortezze. Il fatto che gli Aryani avessero i cavalli per trainare in modo veloce i carri da guerra non ci dice che gli Aryani fossero nomadi provenienti da altre terre; semmai dimostra il contrario. Il carro, specialmente quello da guerra, non è un mezzo usato dai nomadi. Com’è possibile scalare montagne, attraversare deserti e guadare fiumi con quei carri? L’Aryana era una società chiaramente eroica che viveva la guerra come un atto di nobile eroismo…”
“…Quando Wheeler propone l’idea dell’arrivo degli Aryani della terra dei Sette Fiumi (il Punjab), per quanto mi riguarda lo fa senza certezze di alcun genere. Se vengono controllate le numerose citazioni del Rig-Veda sui Sette Fiumi, non si trova nulla riguardo una qualsiasi invasione. La Terra dei Sette Fiumi è la terra del Rig-Veda, la scena dell’azione. Nulla suggerisce che gli Aryani fossero stranieri, né che gli abitanti delle città fortificate (inclusi i Dasyu) fossero più aborigeni degli Aryani stessi. Molte delle citazioni a riguardo sono molto generiche, come ad esempio l’inizio dell’Inno a Indra (4):

“A te, o Potente, porgo questo poderoso Inno, perché il tuo desiderio è stato gratificato dalla mia preghiera.
Grazie ad Indra, sempre vittorioso grazie alla sua forza, gli dei hanno gioito di una festa e allora il Soma è scorso.
I Sette Fiumi portano la sua gloria ovunque e i pianeti celesti, il cielo e la terra mostrano questa forma attraente.
Il Sole e la Luna alternano il loro corso in modo che noi, o Indra, possiamo osservare e avere fede…”

Il Rig-Veda non dice nulla che possa indurci a credere che gli Aryani fossero nomadi. Studi recenti sul declino della civiltà della valle dell’Indo dimostrano che questo non ebbe una singola causa. Qualunque sia questa causa, non ci sono prove per attribuire questa dissoluzione di immani proporzioni a orde di invasori. L’impressione è che la causa sia da attribuire a un collasso sociale e che questo abbia provocato un grande esodo.

(4) Inno 102 del libro 9
(5) 1841: primo governatore della Presidenza di Bombay, 1819-27

M.S.Elphinstone (5), nella sua opera magna sulla storia dell’India, scrive:
“In opposizione alle loro presunte origini straniere, né nei Codici (di Manu) né, credo,   nei Veda, né in nessun altro testo ancora più   antico dei Codici, ci sono allusioni al fatto che i redattori dei Veda fossero abitanti di nazioni al di fuori dell’India. Persino i racconti mitologici non più al di là della catena delle Himalaya, nella quale è fissata la dimora degli Dei…”
“Inoltre, (se così fosse), come mai questa civiltà di invasori non si diffuse a “macchia d’olio” partendo da Est e dirigendosi verso Ovest? Come mai, poi, il loro linguaggio si è diffuso in tutta l’India, la Grecia e l’Italia e non si è invece diffuso in Caldea, in Siria e in Arabia?”
Il verdetto finale di Elphinstone è uguale al nostro: non c’è nessuna ragione per sospettare che gli Aryani abbiano mai abitato in alcuna altra nazione al di fuori di quella che noi conosciamo come India e che questa fosse la situazione prima che cominciassero a documentare la loro cultura in forma scritta.



La prospettiva letteraria
Generalmente un popolo oppresso militarmente non ama il suo nemico e certamente non condivide la sua cultura fino a farla diventare propria. Se la civiltà di Harappa avesse un’origine Dravidica, civiltà poi sospinta verso il Sud dagli invasori, come mai non esistono differenze o divisioni tra letteratura Aryana e Dravidica? Come mai la storia dei due popoli è un’unica storia? Dove si parla di storia Aryana e storia Dravidica? E poi, prima dell’arrivo dei profughi della valle dell’Indo, il Sud era abitato o no? Se lo era (come è certo), chi erano quegli abitanti e perché hanno accettato i nuovi arrivati senza ostilità, né hanno cercato di arginare il flusso delle milioni di persone che arrivavano?
In realtà, prima dell’arrivo dei Britannici, non ci sono mai state ostilità di nessun tipo tra il Nord e il Sud dell’India, tra i quali esisteva un continuo scambio e interazioni culturali che continua tutt’oggi. La lingua Sanscrita, che secondo gli storiografi occidentali è di origine Aryana, è stata la lingua comune dell’intera società indiana per migliaia di anni. Le tre più grandi figure dell’Induismo dell’ultimo millennio, Shankara Acarya, Madhva Acarya e Ramanuja Acarya, erano meridionali, eppure venivano universalmente rispettati anche al Nord e hanno trascorso la loro vita a insegnare e a scrivere commentari sulle Scritture Vediche (che pure avrebbero dovuto essere opera di pastori e barbari) in lingua Sanscrita, intendendo beneficiare l’intera società umana. In tempi più antichi, ricordiamo che qualcuno
dei grandi autori di sutra come Baudhayana e Apastamba venivano dal Sud, e non hanno mai detto una sola parola  riguardo le origini straniere dei Veda e del linguaggio Sanscrito. Agastya, un celebre Rishi di origini settentrionali, è universalmente amato come colui che introdusse la saggezza Vedica nel Sud dell’India e per questo, in quelle regioni, viene venerato. Il dato di fatto è che la letteratura Vedica è una creazione tipicamente indiana; non c’è menzione di essa in nessuna regione fuori dall’India.
Immaginiamo per un momento lo scenario: un popolo abbandona le sue terre di origine, colonizza l’India e invece di imporre la propria cultura, i propri Dei e i propri rituali, cominciano a venerare la terra conquistata. La cosa non è logica. L’atteggiamento primo di un conquistatore è di superiorità, non il contrario. Se gli Aryani fossero stati stranieri, perché non nominano i propri luoghi di origine come i più venerabili? Perché dovrebbero scrivere libri enormi che cantano le preghiere dei numerosi fiumi che attraversano l’intera penisola e delle montagne, elette addirittura a dimora degli Dei e Dee? Che ragioni potevano aver avuto per considerare questa terra come la Santa Terra? Gli Aryani non hanno scritto una sola parola inneggiando alla loro terra di origine, né ci hanno informato che provenivano da tali regioni. E non si può dire che abbiano scritto poco! E’ mai possibile che a nessuno sia venuta la voglia di descrivere il lungo e pericoloso viaggio che avevano dovuto sopportare prima di giungere alla meta? I Purana raccontano migliaia di fatti storici; com’è possibile che abbiano taciuto una cosa tanto importante, cioè la storia della nascita della loro nuova cultura? E’ un comportamento per lo meno singolare. Per i Musulmani il loro luogo santo è La Mecca, per i Cattolici è Roma o Gerusalemme, per gli Hindu Kailasha al Nord, Ramesvaram al Sud, il Sindho a Ovest e Parusuram Kund (Arunchala Pradesh) a Est. Per i Gaudiya Vaishnava Vrindavana a Ovest e Mayapur a Est. Le sette città sante dell’Induismo includono Kanchipurum a Sud, Dwaraka a Ovest, Ujjain nell’India centrale; i dodici jyotirlinga includono Rameshwaram nel Tamil Nadu, Srisailam nell’Andhra Pradesh, nashik nel Maharashtra, Somnath nel Gujarat e Kashi nell’Uttar Pradesh. Tutti sono indiani; non esiste nella letteratura Vedica o in quella cosiddetta post-Vedica un solo luogo importante che non fosse in India. L’India è sempre stata una nazione unita. Non lo potrebbe essere se le sue origini non fossero indiane. La divisione della madre-patria non rientra nella mentalità atavica di questo popolo. Sebbene la nazione sia sconfinata, nessun Hindu quando va in pellegrinaggio si è mai sentito straniero da qualsiasi parte andasse. I Sette Fiumi sacri dell’Induismo sembrano tracciare la mappa dell’intera terra sacra: il Sindhu e il Sarasvati (quest’ultimo estinto) nascono dall’Himalaya e scendono a Ovest, e poi a Sud verso il mare occidentale. Anche il Ganga e lo Yamuna partono dall’Himalaya e si dirigono verso Est e si tuffano nel mare Nord-Orientale. Il Narmada nasce nell’India centrale e il Godavari nell’India occidentale, mentre il Kaveri scava la sua via verso il Sud, dove poi entra nel mare.
Più di mille anni fa Adi Shankaracarya, nato in Kerala, stabilì diverse matha (centri religiosi e spirituali) in tutte le direzioni, incluso Badrinath al Nord (Uttara Pradesh), Puri ad Est (Orissa), Dwaraka ad Ovest (Gujarat) e Shringeri e Kanchi a Sud. Quale grande personalità della cultura indiana ha mai parlato dell’origine extra-indiana della stessa? O doveva arrivare qualcuno dalla Germania o dall’Inghilterra per insegnare a questi grandi professori e santi quale fosse il loro background culturale?
Il Rig-Veda narra di numerose guerre e conflitti di vario genere. Questi vengono frequentemente citati come prova di un’invasione e di guerre tra gli invasori dalla pelle bianca con le popolazioni locali dalla pelle scura. Questo uso della letteratura Vedica è, come minimo, pretestuoso. Secondo David Frawley, questi conflitti possono essere categorizzati e spiegati nei seguenti modi:
a) conflitti tra le forze della natura: Indra, il Dio del fulmine del Rig-Veda, occupa una posizione centrale nell’aspetto naturalistico della religione Rig-Vedica, poichè è colui che forza le nuvole a concedere la loro ricchezza vitale, la pioggia. In questo sforzo egli si trova spesso a dover fronteggiare ogni sorta di demoni e spiriti, la cui attività principale è danneggiare le società umane impedendo alla pioggia e ai raggi di sole di beneficiare la terra. Frawley prova a risolvere il dilemma affermando che si tratta di descrizioni mitologiche di battaglie fra differenti forze naturali. Per esempio, nel Rig-Veda troviamo il seguente verso:
Il corpo giacque nel mezzo delle acque, le quali non sono né ferme né fluenti. Queste premono contro l’apertura segreta di Vritra (Colui che Copre), il quale giace nel buio del profondo e il cui nemico è Indra. Conquistate dall’avversario, le acque si fermarono come una mandria bloccata dal pastore. Indra schiacciò Vritra e riaprì il corso del fiume”(6).
Questo verso, dice Frawley, è una bellissima descrizione poetica delle montagne innevate, dove l’acqua vivificante che sostiene i fiumi che scorrono in Aryavarta è mantenuta dalle cupole di ghiaccio (il demone Vritra) e Indra, il Dio della pioggia, permette al sole di sciogliere i ghiacciai e così beneficiare le terre con le acque vivificanti dei fiumi. Gli assertori della teoria dell’invasione Aryana interpretano questo verso in modo letterale, portandolo sul piano umano e affermando che Vritra era il capo dei Dravidiani dalla pelle scura e Indra il re degli Aryani dalla pelle chiara.
Per quanto ci riguarda, non riusciamo a capire perché le cose debbano sempre essere interpretate. Non può essere che Indra sia Indra e che Vritra sia Vritra, e che in altre epoche si sia veramente svolto un’avvenimen-

(6) Rig-Veda, I.32.10-11


to esattamente come viene raccontato nei Veda? La storia che riguarda Indra e Vritra non è contenuta solo nei Veda (testi filosofici in modo preponderante) ma anche nelle Itihasa, che sono libri di storia, e quindi non hanno alcun interesse a trasformare un mito in un fatto storico. Ci sono casi nei quali viene raccontato un fatto allegorico allo scopo di illustrare un’idea o un principio dottrinale, ma quando la cosa si verifica viene direttamente dichiarato nel testo stesso (7). Noi suggeriamo che le storie Vediche vanno interpretate come allegorie solo quando viene così dichiarato dagli stessi testi, altrimenti succede che si cade nello stesso errore commesso dagli invasionisti, i quali perdono il contatto con la cultura studiata e partono per un proprio viaggio intellettuale che non ha nulla a che vedere con l’oggetto in questione.
b) Frawley azzarde che alcuni dei conflitti narrati nel Rig-Veda sono rappresentazioni di veri scontri avvenuti tra popolazioni Vediche e Iraniche.

(7) A questo proposito ricordiamo lo Srimad Bhagavatam (4.25) il quale narra di un dialogo fra Narada e Pracinabarhisat. Il saggio Narada racconta la storia del re Puranjana, il quale è un’allegoria e certamente non un fatto realmente accaduto. L’identità fittizia dell’avvenimento è apertamente dichiarato dal Rishi.

Una volta, quelle che oggi sono due etnie diverse, vivevano insieme come una società unica e i loro rapporti erano armonici e privi di
asprezze. Ma a un certo punto della storia qualcosa deve essere successo, per cui vennero
ad esserci seri contrasti che condussero ad uno
scisma. La parte Nord-Ovest dell’India è quella che oggi conosciamo come Iran. Pur non condividendo il metodo di Frawley, dobbiamo dire che in un certo senso concordiamo con lui. Infatti, gli accostamenti culturali tra le due popolazioni non sono un mistero. Il Dio iraniano Ahura è chiaramente l’Asura Vedico, mentre i loro demoni si chiamano Daevas, i Deva. Si noti il sovvertimento di valori, per cui i benevoli Deva indiani diventano demoni per gli iraniani e viceversa. Pare quasi una ripicca! Non solo, ma gli iraniani si chiamarono Dahas e Dahyus, che corrispondono alle antiche nobili dinastie indiane dei Dasa e dei Dasyu. I testi iraniani più vecchi, inoltre, descrivono i conflitti tra i sostenitori dei Deva e i loro avversari, il tutto dalla loro ottica, per cui gli spiriti maligni diventavano eroi, vittime di malvagi Deva.
c) Frawley afferma poi che una parte di quei conflitti citati nel Rig-Veda potrebbero voler documentare battaglie fra gruppi tribali locali per lo sfruttamento di risorse naturali e tra vari regni minori, che volevano guadagnare la supremazia sulle terre. Una specie di corsa all’oro costante allo scopo di avere sempre più acqua, bestiame, vegetazione e terra ai fini dell’espansionismo e del potere temporale. Ma continuiamo a chiederci e a chiedere: se questo fosse stato il caso, cosa ci voleva a dirlo chiaramente? Ai saggi Vedici non piaceva giocare, erano monaci seri che non amavano le favole.

Cronologia del periodo preistorico in India
Secondo i teorici dell’invasione Aryana, la civiltà indiana, o quella della valle dell’Indo, è antica solo di 4000 o 5000 anni e la sua fine va rimandata al 1500 AC. Secondo questi, l’era Vedica inizia verso il 1400 o 1300 AC, quando i quattro libri originali furono composti e gli Aryani cominciarono a imporre la loro cultura e la loro religione sulla popolazione locale del nord dell’India. Il Ramayana e il Mahabharata, che vengano considerati o no come testi che riportano eventi realmente accaduti, dovrebbero essere datati nel periodo che va dal 1200 al 1000 AC. La loro convinzione è che le datazioni attendibili iniziano solo dopo il 1000 AC, quando vengono composti i primi veri documenti storici, intorno alla nascita del Bhudda. Questa cronologia, proposta inizialmente da Max Muller, era basata primariamente nel suo fermo credo nella data biblica sulla creazione del mondo, cioè il 23 ottobre del 4004 AC. Tale cronologia è stata contraddetta da tutte le evidenze archeologiche, dalle testimonianze scritturali, dai credi tradizionali e, più importante di tutto, dal buon senso e dall’onesto metodo scientifico. Rifiutando la prospettiva di Max Muller, alcuni indologi, basandosi sulle ben più attendibili testimonianze Vediche e Puraniche, sui ritrovamenti e studi archeologici e altro, propongono la seguente cronologia:

- Era vedica: 7000-4000 AC
- Fine dell’era del Rig-Veda: 3750 AC
- Fine del periodo del Ramayana e del
Mahabharata: 3000 AC
- Sviluppo della civiltà Indo-Sarasvati: 3000-2000 AC
- declino della civiltà Indo-Sarasvati: 2200-1900 AC
- Periodo di completo caos e migrazioni: 2000-1500 AC
- Periodo di evoluzione di una cultura Hindu sincretistica: 1400-250 AC

Che si creda attendibile questa cronologia o no, non c’è nulla che possa far pensare a un’invasione di orde straniere.

L’analisi cronologica Vaishnava
I Vaishnava, in particolar modo i Gaudiya, conferiscono la massima autorità alle Scritture, specie quando queste sono tramandate da una paramparà (8) autentica. Perciò il loro metodo è quello dello studio delle stesse, le quali sono l’unica fonte attendibile di conoscenza perché di origini divine. L’analisi minuziosa di questa cronologia ci porterebbe molto lontano, per cui ne discuteremo solo in breve.
Va detto subito che tutti i testi Vedici si occupano di storia (chi in quantità maggiore e chi minore), e tutti sono d’accordo nel tracciare una cronologia ben diversa. Prima di tutto, cos’è “l’era Vedica”? Se per questa espressione si intende un’epoca in cui i precetti vedici venivano osservati, ebbene non c’è traccia della loro creazione, in quanto eterni. Talvolta sono “manifestati” (cioè conosciuti) e altre volte si celano, ma la conoscenza non ha inizio. Nel momento in cui c’è un conoscitore e una cosa da conoscere, nasce la conoscenza. Parlare di “inizio di era

(8) Catena ininterrotta di maestri spirituali che si consegnano la conoscenza intatta attraverso i secoli

Vedica” è sbagliato. I Veda che oggi conosciamo sono una composizione, fatta dal Rishi Krishna Dvaipayana Vyasa, di antichissime tradizioni di saggi, i quali si tramandavano una diversa prospettiva della conoscenza delle cose umane e divine. La degenerazione dell’antica civiltà che viene chiamata Vedica è attribuibile a Kala, il Tempo Eterno, il quale conduce tutto e tutti in direzione della degenerazione e poi verso un risorgimento spirituale. Tutto questo è spiegato in modo molto chiaro nei Veda stessi (9). Perché dovremmo inventare una nostra cronologia? Nel momento in cui l’era di Kali fa la sua entrata nello scenario del mondo, tutto inizia a degradarsi, compreso le civiltà che osservavano i principi elevati. Kali inizia 3102 anni prima dell’era Cristiana; da quel giorno in poi nulla è stato più come prima. Per quanto riguarda la civiltà distrutta di Harappa, il Mahabharata ci racconta di interi regni devastati dalle cause più disparate. Siamo convinti che ulteriori ricerche nella letteratura Vedica ci porterebbero a conoscere la causa della dissoluzione di quel florido regno.
Merita una nota l’epica del Ramayana; secondo studi condotti sul Vishnu Purana e su

(9) Si legga Itihasa, il testo di storia vedica dello stesso autore
secondo studi condotti sul Vishnu Purana e su altri Purana, i fatti che riguardano Rama sono accaduti in divya-yuga precedenti e non in questo, per la precisione nel 24° del Vaivasvata Manvantara. E’ così possibile datare le gesta di Rama in un periodo attorno ai 15 milioni di anni orsono.

Un paradosso
Se si dovesse accettare la teoria dell’invasione Aryana, ci si troverebbe di fronte a un paradosso insostenibile. Gli abitanti di Harappa della valle dell’Indo hanno lasciato documenti archeologici a profusione su una vasta regione, che va dai confini dell’Iran e dell’Afganistan all’Uttara Pradesh orientale, fino alla valle del Tapti. Si suppone che in questa regione dovessero vivere almeno 30 milioni di persone altamente civilizzate. Eppure questa gente non ha lasciato assolutamente nessun documento letterario. Sembra incredibile! Invece gli Aryani Vedici e i loro successori ci hanno lasciato una letteratura che è probabilmente la più vasta e profonda del mondo, ma nessun documento storico, nulla che comprovi la loro storia prima e dopo l’arrivo in India. Così ci ritroviamo una vasta documentazione storica e archeologica della civiltà Dravidica durata migliaia di anni che però non ha lasciato nulla di letterario e una gigantesca letteratura da parte di Aryani vedici che però non hanno lasciato nessuna notizia di loro.
La situazione diventa ancora più assurda quando si considera che esiste una vasta documentazione archeologica e letteraria di Indiani Aryani che provenivano dall’India, in Iran e nell’Asia occidentale, datata 2000 AC. Queste evidenti anomalie possono essere riconciliate solo accettando la cosa più semplice e naturale, cioè che i cosiddetti Aryani erano gli abitanti originali delle città lungo l’Indo, il Ravi, il Sarasvati e di tutta la regione settentrionale del sub-continente indiano, e che quelle popolazioni abbandonarono la loro terra natia per qualche altra ragione, forse calamità naturali.
I saggi vedici hanno insegnato e praticato i principi universali della pacifica coesistenza e della tolleranza; come possono tali persone essere accusate di genocidio, di sterminio di gente innocente e di aver distrutto un gran numero di città? Le Scritture ci informano dei loro valori morali e spirituali:

Aham bhunimdadamaryam (Rig-Veda) – Il Creatore dichiara: Io ho dato questa terra agli Aryani
Kirnvanto vishwaryam (Rig-Veda) – Rendi l’intero mondo nobile
Aa na bhadra katavo yanto vishwatah (Rig-Veda) – Lascia che nobili pensieri fluiscano da ogni parte
Mata bhumih putro ham prithvyah (Atharva-Veda) – La terra è la mia madre e io sono il suo figlio
Vasudeva kutumbubakam – L’intero universo è una famiglia

La prospettiva archeologica
Successivamente alla prima scoperta delle città sepolte di Harappa e Mohenjodaro sui fiumi Ravi e Sindhu avvenuta nel 1922, sono stati autorizzati numerosi altri scavi (ora sono più di 2500) che si estendono dal Baluchistan al Ganga, giù alla valle del Tapti, interessando quasi un milione e mezzo di chilometri quadrati. Questo lavoro di proporzioni bibliche è stato portato avanti da archeologi di chiara fama. Una cosa che settanta anni fa non poteva essere conosciuta era il fatto che il 75% di questi ritrovamenti sono concentrati non lungo il Sindhu e neanche lungo il Ganga, ma sulla linea di ciò che poi sarebbe stato riconosciuto essere l’antico letto del Sarasvati. Il prosciugamento del fiume Sarasvati fu una catastrofe di enorme portata che portò ad una massiccia emigrazione di persone che si spostarono in altre aree dell’oriente, del medio-oriente e persino in Europa. Questo è vero, tanto che nei mille anni che seguirono, in tutta l’Asia Occidentale appaiono e scompaiono dinastie e reggenti con nomi indiani. Probabilmente fu proprio questa la ragione dell’abbandono di una regione tanto vasta quanto florida, e non un’invasione di razze nomadi.
Gli archeologi invasionisti non riescono a spiegare come mai i conquistatori Aryani avessero invaso le cittadine nella valle di Harappa, distruggendo i suoi abitanti e la loro civiltà, e non avessero occupato quelle ricche città. Gli scavi dei siti ci dicono che quelle furono abbandonate e mai più abitate da nessun altro.
Anche se taluni non intendono accettare neanche le evidenze scientifiche, tanto attaccati sono ai loro preconcetti, oggi possiamo dire che esistono sufficienti prove archeologiche per affermare che i riti religiosi degli abitanti di Harappa e dei siti della valle dell’Indo erano del tutto simili a quelli degli Aryani Vedici. I loro riti, le loro Divinità e i loro altari del sacrificio parlano di fede Aryana. Ciò vuol dire che l’Aryanesimo (o Vedismo) era cultura locale indiana e che non è stata portata da nessun straniero.
Viene affermato che una delle prove che gli Aryani fossero stranieri è costituita dal fatto che questi cavalcavano cavalli e usavano carri per il trasporto. Poiché non si è ritrovato nulla riguardo la presenza di cavalli ad Harappa e Mohenjodaro, gli abitanti della valle dell’Indo non potevano essere Aryani. Questo era lecito supporlo fino al 1930-1940, quando gli scavi di molti siti non erano ad uno stadio avanzato. In seguito, gli scavi nei siti lungo la valle dell’Indo e nel prosciugato fiume Sarasvati avrebbero invece prodotto numerose ossa di cavalli addomesticati. E’ il Dr.S.R.Rao a informarci di aver ritrovato ossa di cavalli sia nei livelli della Mature Harappan che nella Late Harappan. Da allora sono state dissotterrate molte ossa di cavalli, sia del tipo domestico che di quello da combattimento. Inoltre sono state trovate anche ruote come quelle che vengono usate per i carri. Cade così un altro dei baluardi dei difensori della teoria dell’invasione Aryana.

La scoperta della città di Dvaraka
La scoperta di questa città è molto importante e dovremmo dedicarle maggior spazio, magari una monografia intera. Questa costituisce un’evidenza della massima importanza per sconfiggere la falsa datazione dei fatti storici narrati nei Veda, che vengono fatti risalire al 1500 AC. La scoperta non solo stabilisce una volta per tutte l’autenticità storica della guerra del Mahabharata e gli eventi descritti nell’epica, ma che le datazioni tradizionali dei periodi del Mahabharata e del Ramayana sono corretti. Finora i sostenitori della teoria dell’invasione Aryana definivano l’epica del Mahabharata come un’opera di un grande poeta di talento, oppure come fatti realmente accaduti non prima, però, del 1000 AC.
Invece, le rovine della città sommersa ritrovata nel luogo indicato dalle Scritture, cioè vicino le coste del Gujarat, sono state datate dagli scienziati dal 3000 AC al 1500 AC. La prima datazione trova riscontri letterari. Infatti, nel Mausala Parva del Mahabharata, è detto che Dvaraka viene gradualmente inghiottita dall’oceano. Krishna aveva profetizzato tale disastro, per cui aveva avvertito tutti i residenti della città di abbandonarla prima che il mare la sommergesse. Come e perché Krishna avesse fondato la città di Dvaraka è raccontato nel Sabha Parva del Mahabharata, che ci offre un racconto dettagliato della fuga da Mathura di Krishna e dei suoi parenti e amici per sfuggire ai continui attacchi di Jarasandha e salvare così le vite dei sudditi. Per questa ragione Krishna è anche conosciuto come Ranchor, colui che fugge dal campo di battaglia. Nel periodo che va dal 1984 al 1988, il Dr.S.R.Rao e il suo gruppo di ricerche (l’Unità di Marina Archeologica) decisero di non risparmiare sforzi per ritrovare la città sommersa e, lungo le coste del Gujarat, fu finalmente ritrovata. Oggi continuano gli studi. Può darsi che il futuro ci riservi novità straordinarie.

Il fiume Sarasvati ritrovato
Nel Rig-Veda l’onore del fiume più grande e più santo non viene conferito al Ganga, ma al Sarasvati. Ora questo è prosciugato, ma una volta era un grande fiume che partiva dall’Himalaya e attraversava il deserto del Rajasthan. Sempre nel Rig-veda, il Ganga è menzionato una volta solo, mentre il Sarasvati almeno 60 volte. Sembrava che le ricerche del Dr.Wakankar avessero dimostrato che il prosciugamento del Sarasvati potesse essere fatto risalire al 1900 AC, ma gli ultimi dati del satellite Landcast hanno ritoccato questa datazione e l’hanno spostata al 3000 AC.
Paul-Henri Francfort del CNRS di Parigi ha recentemente osservato che “…ora noi sappiamo, grazie alle ultime scoperte della spedizione indo-francese, che quando le popolazioni protostoriche si sono stabilite in quell’area, nessun grande fiume fluiva in quel luogo da molto tempo…”. Le popolazioni protostoriche a cui egli si riferisce sono gli Harappa del 3000 AC. Ma le foto del satellite mostrano che un grande fiume preistorico largo più di sette chilometri fluiva realmente in quell’area e che numerosissimi siti archeologici sono locati proprio lungo il corso di questo grande fiume. Ciò sta ad indicare che il Sarasvati esisteva 5000 anni orsono, tanto che gli indiani dell’epoca hanno costruito le loro città lungo il corso del fiume. Altrimenti, che senso avrebbe avuto costruire città lungo le rive di un fiume prosciugato? Questo significa anche che il Rig-Veda descrive la geografia del Nord dell’India di un’epoca di molto anteriore al 3000 AC e che lo stesso è esistente da una data minima di 3500 anni AC (10).
La scoperta del Sarasvati e la datazione del suo prosciugamento ha avuto un impatto considerevole sul dibattito al quale noi stessi stiamo partecipando; infatti, se il Sarasvati è scomparso 3000 anni AC e se gli Aryani sono venuti in India in epoche successive, come avrebbero potuto conoscerlo e perché avrebbe-

(10) Aryasns Invasion of India: The Myth and the Truth di N.S.Rajaram


ro dovuto tenerlo in così grande considerazione? E’ del tutto evidente che gli autori dei veda parlavano di un fiume esistente del quale ne sfruttavano la presenza vivificante sia dal punto di vista materiale che spirituale.

Il Sarasvati nel Rig-Veda
Il fiume Sarasvati è il più importante dei corsi d’acqua menzionati nel Rig-Veda. L’immagine di questo “grande fiume divino” domina il testo. Non è solo il fiume più sacro, ma la Dea del Sapere stessa; è la Madre dei Veda. Siamo andati a cercare alcuni inni vedici che parlano del Sarasvati:
ambitame naditame devitame sarasvati (II.41.16): “La migliore delle madri, il migliore dei fiumi, la migliore Dea, Sarasvati”.
maho arnah Sarasvati pracetayati ketuna dhiyo visva virajati (I.3.12): “Sarasvati, come un grande oceano, appare con i suoi raggi e domina tutte le ispirazioni”.
ni tva dadhe vara a prthivya ilayspade sudinatve ahnam: drsadvatyam manuse apayayam sarasvatyam revad agne didhi (III.23.4): “Ti attiviamo, o Sacro Fuoco, sul luogo più santo della terra… nel chiarore del giorno. Sui fiumi Drishadvati, Apaya e Sarasvati, brilla tu in modo radioso per tutti gli uomini”.
citra id raja rajaka id anyake sarasvatim anu; parjanya iva tatanadhi vrstya sahasram ayuta dadat (VIII.21.18): “Lo splendore è il re, tutti gli altri sono principi che dimorano lungo il Sarasvati. Come il Dio della pioggia, egli accorda mille volte diecimila mucche”.
ayasi puh: Sarasvati è come una città di bronzo; visva apo mahina sindhur anyah: sorpassa tutti gli altri fiumi e acque; sucir yati girbhya a samudrat: puro nel suo corso dalle montagne al mare (VII.95.1-2).

Tutto questo indica che i compositori della letteratura Vedica conoscevano molto bene il fiume Sarasvati ed erano così ispirati dalla sua bellezza che composero inni di preghiera, glorificandolo. Ciò indica che i veda esistevano prima del periodo del Mahabharata, che invece descrive il Sarasvati come un fiume morente. Le datazioni che scaturiscono da tutto ciò sono nettamente contrarie a quelle imposte alla cultura occidentale da studiosi e scienziati con ovvi pregiudizi.

Altro dall’archeologia
Nella regione tra il Gange e lo Yamuna sono state recentemente scoperte delle anfore di terracotta datate 1000 AC. La tendenza è di considerarle manufatti Aryani, ma non c’è nulla che possa essere addotto come prova scientifica se non si ritiene tale l’opinione di una persona.
Si è persino giunti ad affermare che la cultura della valle dell’Indo provenisse dal medio-oriente, probabilmente dalla Sumeria, in quanto nulla di antecedente alla cultura Sumera era stato trovato. Recenti scavi francesi a Mehrgarh hanno mostrato reperti che risalgono a oltre 6000 AC.

La prospettiva religiosa:
l’adorazione di Shiva
Gli invasionisti affermano che gli abitanti della valle dell’Indo erano adoratori di Shiva e, poiché il culto di Shiva è prevalente tra gli indiani Dravidici del Sud, gli abitanti della valle dell’Indo dovevano essere Dravidici. Questo dà l’esatta misura della profondità di conoscenza e di pensiero di questi studiosi. L’adorazione di Shiva non è affatto aliena alla cultura Vedica e non è per nulla confinata al Sud solamente. Inoltre le parole Shiva e Shambu non derivano dalle parole Tamil civa (diventare rosso, essere arrabbiato) e cembu (di rame, di metallo rosso), ma dalle radici Sanscrite si (che significa “auspicioso, grazioso, benevolente, gentile, di aiuto) e sam (“essere o esistere per la felicità o il benessere altrui, accordare o generare felicità, etc.). Da sempre le due parole sono state usate nell’accezione Sanscrita e non in quella Tamil (11). Non solo, ma i luoghi sacri più importanti
dello Shivaismo sono tutti locati nel Nord dell’India. Kashi (il posto più riverito e auspicioso dello Shivaismo) e il monte Kailasha (la tradizionale dimora santa di Shiva) si trovano al Nord. Inoltre Shiva (spesso chiamato Rudra) viene menzionato e venerato in molti importanti passaggi del Rig-Veda, dove è considerato un’importante divinità Vedica (12). Perciò Shiva non è affatto un dio esclusivamente dravidiano, ma una divinità vedica.
E’ però vero che il Rig-Veda sembra dare maggiore importanza ad altri Deva, come Indra, Agni e Soma, ma questo non significa nulla. In un libro di matematica troveremo sicuramente più matematica che letteratura, senza per questo voler dire che la matematica sia più importante della letteratura. Se si analizzano l’Atharva e lo Yajur veda, così come le Brahmana (13), troveremo che Rudra

(11) Sanskrit-English Dictionary di M.Monier-Williams
(12) 2:20:3, 6:45:17, 8:93:3
(13) Antichi testi Vedici


domina la scena. Inoltre spesso Indra e Agni vengono identificati con Shiva e mostrano le sue caratteristiche tipiche (Indra il danzatore, il distruttore delle città, il Signore del potere, per fare degli esempi). Non c’è nulla che mostri una divisione tra tradizioni Vediche e Shivaite.
Al contrario, Shiva è associato di frequente con riti vedici e offerte sacrificali. Egli si adorna con le ceneri (bhasma) del fuoco vedico.
I difensori della teoria dell’invasione Aryana presentano anche dei pezzi di terracotta trovati sugli altari del fuoco ad Harappa e in altri siti archeologici, interpretandoli come Shiva-linga e adducendoli come prove che il culto di Shiva era prevalente tra le popolazioni della valle dell’Indo. Al di là del fatto che ciò non significherebbe nulla (perché, come abbiamo visto, Shiva non è una Divinità privata di nessuno), è stato poi dimostrato che questi pezzi di terracotta non erano Shiva-linga ma pesi per misurare le merci. Infatti, il loro peso è stato provato essere perfettamente bilanciato a scalare. Il loro peso era di 1 grammo, 2 grammi, 5 grammi, 10 grammi, etc. Non erano Shiva-linga, ma misure di peso.
I professori dominati dall’idea dell’invasione della razza Aryana hanno cercato di dividere gli dei Hindu in Dei Dravidiani e Aryani, classificazione completamente fittizia, in quanto questa non esiste in nessuna sezione della letteratura Vedica. Questa teoria grottesca si basa su un’interpretazione del colore fisico della Divinità. Krishna è scuro, perciò è Dravidiano. Se proprio si ritiene che valga la pena discutere idee del genere, deve essere ricordato che la dinastia a cui appartiene Krishna è interamente Aryana, in quanto discende da Yadu il quale, in epoche antichissime, governava regni a Nord dell’India. Altri saggi menzionati nel Rig-Veda (come Krishna Angira o Shaiva Atreya) sono chiamati con epiteti significanti il colore nero, senza per questo voler dire che erano di razza Dravidiana. Torneremo su questa interpretazione nel prossimo paragrafo.
Che il Dio Vedico Savitur abbia i capelli biondi non vuol dire che esso sia un Dio esclusivo di una razza bionda. Gli Dei del sole di molte altre culture sono raffigurati in quel modo, come quelli Egiziani, Maya e Inca. Del resto, un Dio del sole può essere scuro di pelle? E poi, perché le dichiarazioni Vediche dovrebbero intendere una differenza razziale e altre no?

La prospettiva linguistica
Nel 1853, Max Muller introdusse la parola arya nel vocabolario occidentale ed in particolar modo in quello europeo, intendendo che gli Aryani fossero una razza storica. Sfidato da storici e linguisti, nel 1888 fece marcia indietro e scrisse: “Ho ripetutamente dichiarato che quando dico Arya non sto parlando di sangue, di ossa, di capelli o di teschi; mi riferisco soltanto a coloro che parlano la lingua Aryana… per quanto mi riguarda da etnologo, posso dire che chi parla di razza Aryana, di sangue Aryano, di occhi e capelli Aryani è un vero peccatore…”.(14)
La precisazione è certamente utile, anche se tardiva. Và però detto che nella letteratura Vedica, la parola arya non è mai usata in riferimento ad una razza, ma neanche (come invece afferma Muller) a un gruppo linguistico (15). Piuttosto vuole indicare la qualità di una persona, un uomo retto, di buona natura, un

(14) Max Muller, Biographies of Words and the Home of the Aryas, 1888, pg 120
(15) Troviamo interessante l’articolo Arya and Its Significance di Yogi Aravind.
(16) Direttore dell’Archeological Survey of India, un rinomato archeologo marino, si è occupato di archeologia dal 1948 ed ha scoperto e scavato numerosi siti della tradizione Hindu. E’ stato l’autore di molti lavori monumentali della civiltà di Harappa e di altri scritti.
uomo nobile. Spesso è anche usata come titolo  onorifico, proprio come Signore, Sir o Shrì. Nel Ramayana di Valmiki, Rama è descritto come un Arya e il termine viene definito come segue: “colui che si cura dell’eguaglianza della gente ed è amato da tutti”.
Il Dr.S.R. Rao (!6) si è occupato di decifrare gli scritti ritrovati in molti siti archeologici. Per riassumere il suo metodo di decifrazione, ha assegnato a ciascuna lettera lo stesso valore sonoro di lettere di alfabeti asiatici che presentassero una qualche somiglianza, procedendo poi alla decifrazione. E’ emerso un linguaggio Aryano appartenente alla famiglia Sanscrita. Viene così ulteriormente confermato che i residenti di Harappa e Mohenjodaro (così come di altri luoghi oggi oggetto di studio archeologico) erano di cultura Aryana. La civiltà di Harappa era parte di una evoluzione continua della cultura Vedica che si è sviluppata sulle rive del fiume Sarasvati.
Tra le molte parole rivelate dalle decifrazioni del Dr. Rao ci sono i numerali eka, tra, chatus, panta, happta/sapta, dasa, dvadasa, e sata (1,3,4,5,7,10,100) e i nomi di personalità Vediche come Atri, Kasyapa, Gara, Manu, Sara, Trita, Daksa, Druhu, Kasu, e molte altre parole Sanscrite comuni, come apa (acqua), gatha, tar (salvatore), trika, da, dyau (paradiso), dashada, anna (cibo), pa (protettore), para (supremo), maha, mahat, moksa etc.
Una delle ragioni per le quali veniva ipotizzata la data del 1500 AC era che nella cultura Vedica veniva usato il ferro e si ritiene che l’uso di questo metallo iniziasse in quel periodo. La “prova” di ciò è il termine Vedico “ayas”, che viene tradotto come ferro. In altri linguaggi Indo-europei (come il latino o il tedesco) ayas significa rame, bronzo o altri metalli; certamente non ferro. Non c’è ragione di ritenere che ayas si riferisca forzatamente al ferro. Nell’Atharva-Veda e nello Yajur-Veda si parla di ayas di differenti colori e fattezze. Da ciò possiamo capire che si tratta di un termine generico che vuole significare metallo e non specificatamente ferro. Inoltre nel Rig-Veda troviamo che le popolazioni antiche dell’India usavano questo ayas persino per fare le città. Non si trova nulla nella cultura Vedica che suggerisca che le cosiddette orde Vediche usavano il ferro e i loro nemici no. In precedenza, la diretta connessione tra l’antico scritto detto Hindu (1600 AC) e lo scritto Brahmi non poteva essere dimostrata. Invece, le ricerche archeologiche degli ultimi anni hanno riportato alla luce numerose iscrizioni datate 1000 AC, 700 AC, offrendo la prova desiderata. Ora è evidente che lo scritto Brahmi è di diretta provenienza Hindu (17). In numerose rovine della valle dell’Indo sono sta-

17) Sorgente: Decipherment of the Indus Script, Dawn and Development of Indus Civilization, Lothal and the Indus Civilization, tutto di S.R.Rao

te trovate numerose iscrizioni che si ritenevano di origine non-Vedica e probabil- mente Dravidiana. Ora è dimostrato che tra i due scritti (quello antico detto Hindu e il Brahmi) c’è stato uno sviluppo organico.
E’ vero che i linguaggi degli Indo-Europei prevalenti al Nord, e quelli Dravidiani prevalenti al Sud, differiscono tra loro, ma questo non significa che si tratti di razze differenti. Gli Ungheresi e i Finlandesi hanno un linguaggio ben diverso dalle altre nazioni Europee, ma non ci sogneremmo mai di dire “la razza finnica” o “la razza ungherese”, né di classificarli in altri gruppi razziali perché hanno religioni diverse. Anche se i linguaggi Dravidiani sono basati su modelli diversi dal Sanscrito, nelle lingue Telugu e Tamil c’è il 70% di parole Sanscrite. In più, la loro costruzione e fraseologia sono molto simili,

17) Sorgente: Decipherment of the Indus Script, Dawn and Development of Indus Civilization, Lothal and the Indus Civilization, tutto di S.R.Rao

a differenza dei linguaggi europei che spesso differiscono in modo rilevante.
Se esaminiamo il Sanscrito Vedico più antico, troviamo suoni che si accostano molto ai suoni dei linguaggi Dravidiani (le lettere cerebrali, per fare un esempio), che non sono invece presenti in altri linguaggi Indo-Europei. Questo potrebbe significare due cose:

- che i Dravidiani vivevano nelle stesse regioni occupate dalle popolazioni Vediche e ne condividevano la stessa cultura,
-  che i linguaggi Dravidici sono derivati del Sanscrito, come è opinione di studiosi moderni.

Inoltre, la tradizione accredita l’invenzione dei linguaggi Dravidiani nientemeno che a Agastya, uno dei più importanti Rishi del Rig- Veda.
Il tentativo di dimostrare l’indimostrabile giunge spesso a toccare il ridicolo. Alcuni versetti Vedici parlano di demoni come “privi di naso” (a-nasa), ed è stato interpretato come un discredito razziale contro i Dravidiani che avrebbero il naso camuso. Esaminando le caratteristiche facciali degli indiani del Sud, vedremo che non hanno affatto il naso camuso. Inoltre, talvolta i demoni Vedici vengono descritti come “privi di piedi” (a-pada). Dove esiste questa razza privi di piedi e col naso camuso? Inoltre, gli Dei vedici come Agni sono detti privi di piedi e di testa. Gli Aryani erano forse senza testa e senza piedi? Ci sembra ovvio che tali descrizioni volessero esprimere un qualche concetto filosofico e non debbano essere intesi letteralmente.
Tornando all’interpretazione del colore come spiegazione dell’origine etnica del personaggio in questione, si sa che la parola Krishna significa “scuro” e che Shiva viene descritto come scuro di carnagione. Ciò è sufficiente per classificarli come Dei Dravidici, in quanto questi non avrebbero mai adorato Divinità dallo stesso colore di pelle degli invasori. Prima di tutto dobbiamo dire che Krishna e Shiva non sono neri, ma blu scuro. Esiste forse una razza dal colore blu scuro? Inoltre, gli Dei Hindu hanno colori diversi, che corrispondono alle loro qualità; Lakshmi è descritta come rosa, Sarasvati è bianca,  Kali è blu scuro, Yama, il Dio della Morte, e Ramacandra sono verdi. Se il colore fisico di queste Divinità volesse riferirsi a una razza, ci dovrebbero essere razze dalla pelle rosa, blu scuro o verde.
Gli invasionisti hanno argutamente sottolineato il fatto che la casta in India era originalmente definita sulla base del colore fisico. I Brahmana erano bianchi, gli Ksatriya erano rossi, i Vaisya erano gialli e i Sudra neri. Da qui l’erudita conclusione seconda cui i Brahmana erano i bianchi Aryani e i Dravidiani i Sudra scuri. Tuttavia, questi colori si riferiscono ai guna della casta e non a una divisone razziale. Il bianco è il colore della purezza (sattvaguna), lo scuro quello dell’impurità (tamoguna), il rosso il colore dell’azione (rajoguna), e il giallo quello del commercio (anche questo rajoguna). Trasformare un principio filosofico in una distinzione razziale è semplicismo infantile. E poi, quando mai gli Ksatriya sono stati una razza rossa e i Vaisya una razza gialla?

Conferme dalla matematica indiana
I Sulba-sutra (detti anche i Sulba) sono un’antichissimo testo di matematica che veniva utilizzato per le costruzioni di altari sacrificali e nella costruzione di templi. Secondo lo storico e matematico americano A.Seidenberg, professore all’Università di Berkeley (California), la comparazione della matematica Vedica con quella dell’antica Babilonia (1700 AC) e quella Egiziana (2000 al 1800 AC) rivela che questi Sulba-sutra sono stati fonte di ispirazione per gli scienziati di quelle antiche civiltà. Infatti, sono stati ritrovati, a Lothal e a Kalibagan, altari costruiti esattamente in base ai calcoli suggeriti nei Sulba-sutra, databili 2500 AC. Il Prof. Seidenberg sottolinea quasi con entusiasmo che il Mastaba, la piramide egiziana dalla parte superiore piatta, altro non è che la versione invertita dello Smashana-cit, l’altare sacrificale descritto nel Baudhayana Sulba-sutra.

Esiste una razza Aryana?
Secondo Max Muller, la parola Arya deriverebbe da ar, che significa “arare, coltivare”; perciò Arya significherebbe “coltivatore, agricoltore, proprietario terriero”; l’opposto di nomade e cacciatore. Ma non possiamo essere d’accordo. Bhaktivedanta Swami Prabhupada dice (18):
“Tali impurità non appartengono alla classe di uomini civilizzati conosciuti come Aryani. La parola Aryano è applicabile a coloro che conoscono i valori della vita e fondano la loro civiltà sulla realizzazione spirituale. Coloro che sono guidati dal concetto materialistico della vita non sanno che lo scopo della vita è la realizzazione della Verità Assoluta, Visnu, o Bhagavan, e sono attratti dagli aspetti esterni del mondo materiale e perciò non sanno cosa sia la liberazione. Coloro che non hanno conoscenza della liberazione dalla prigionia della materia sono chiamati non-Aryani”.
Nel Sanskrit-English Dictionary di Apte, la parola Arya viene fatta risalire alla radice r, alla quale è stato aggiunto un prefisso per dare un significato negativo; per cui il significato di Arya diventa “eccellente, il migliore”, e nella sua forma sostantiva assume il significato di “rispettabile, maestro, signore, degno, onorabile, sostenitore di valori spirituali”. Inoltre, può anche intendere “padrone, suocero, amico, bhudda, sapiente”. Questi sono i significati naturali che si possono dedurre dal contesto in cui quasi sempre viene a trovarsi il termine. Se si analizzano tutte le scritture religiose o quelle che ci informano delle antiche tradizioni, ci si accorgerà che mai, una sola volta, la parola Arya vuole indicare una razza o un linguaggio. Imporre tale significato su questo epiteto è una prova di disonestà intellettuale assoluta, una falsificazione dei fatti deliberata e ingannevole. In accordo all’etnologia corrente, le razza primarie sono solo quattro: la Caucasica, la Mongola, l’Australiana e la  Negroide. Sia l’Aryana che la Dravidica (se  tale diversificazione può essere proposta) sono

(18) Bhagavad-gita As It Is, cap. 2, v.2, edito dalla BBT
branche derivate della Caucasica, anzi poste nella medesima sotto-classificazione della Mediterranea. Che si sia d’accordo o no su questa classificazione, nessuno si era mai sognato, prima di Muller e dei suoi sostenitori, di proporre che l’Aryana fosse una razza a se stante. Se esiste una differenza tra i due gruppi, non è certamente di tipo razziale. Biologicamente sono tutte del tipo Caucasico, solo che quando i soggetti si avvicinano all’equatore, per l’influenza del calore costante la pelle tende a scurirsi e il corpo a perdere di altezza. Queste differenze sono così trascurabili che non giustificano l’elezione di un nuovo gruppo razziale. Troviamo differenze simili, e anche ben più consistenti, tra le popolazioni di razza bianca europea, la Caucasica. La pelle del Caucasico può essere bianca pura, fino ad arrivare a un nero quasi totale o con qualche ombra di marrone. In modo analogo, la razza mongola non è necessariamente gialla. Molti cinesi hanno la pelle più bianca di molti cosiddetti Caucasici. Inoltre, un’importante studio globale della genetica della popolazione condotto da un gruppo di scienziati di fama internazionale durato 50 anni (19), rivela che la gente ha abita-

(19) The History and Geography of Human genes, di Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, Princeton University Press.


to il subcontinente indiano e l’Europa da millenni e che tutti appartengono alla medesima razza Caucasica. In accordo a questo studio, non c’è e non c’è mai stata nessuna differenza di razza tra gli indiani del Nord e i cosiddetti Dravidiani del Sud. La composizione etnologica è rimasta la stessa per millenni. Se noi prendiamo una persona media del Punjab, un’altra del Maharastra e una terza del Tamil Nadu, troveremo che quella del Maharastra va a cadere nel mezzo delle altre due in termini di costituzione fisica e colore della pelle.Man mano che scendiamo al Sud, rileviamo una graduale trasformazione, ma non una sostanziale differenziazione di razza. Tra gli Aryani e i Dravidiani non c’è una differenza maggiore di quella che esiste tra i biondi Svedesi e gli scuri del Sid-Italia.

I Dravidiani nella letteratura
Vedico-Puranica
Alcuni testi Vedici, come l’Aitareya Brahmana o la Manu Samitha, hanno definito i Dravidiani come gente “al di fuori della cultura Vedica”. Questo non significa che siano una razza diversa o un altro popolo. Il contesto era che gli indiani del Sud sono discendenti di re Vedici degenerati, come Visvamitra. Gli stessi testi dicono la medesima cosa di alcuni gruppi del Nord (come quelli del Bengala), definendoli “al di fuori della cultura Vedica”. Eppure si tratta di popoli dello stesso ceppo razziale e del medesimo linguaggio. L’opinione apparentemente sfavorevole a riguardo dei Dravidiani è causata da degenerazioni di re o saggi specifici ed è di natura temporanea. David Frawley porta ad esempio il Ramayana, nel quale gli abitanti di Kishkindha (la moderna Karnataka) divennero alleati di un re Aryano come Rama. Naturalmente l’argomento di Frawley è una chiara forzatura, ma il punto che vuole illustrare può essere considerato corretto.
Se guardiamo alla storia dell’India, vediamo che non c’è parte di essa che non sia stata, almeno per un periodo, dominata da tradizioni non ortodosse, come quella Buddista, la Jaina o la Persiana, per non menzionare religioni totalmente straniere come l’Islam o il Cristianesimo, o da veri e propri conquistatori come i Greci e gli Unni. Ci fu un periodo in cui il Gujarat non veniva visto di buon occhio dai letterati Vedici, in quanto era sotto il dominio culturale dei Jainisti, ma questo non trasforma i Gujarati in un’altra razza, né trasforma tutti i natii di quella terra in non-Aryani permanenti. Qualcosa del genere accadde ai Dravidiani. Dando un’occhiata alla storia europea, ci sono esempi che illustrano la questione. A un certo punto della sua storia, l’Austria passò attraverso una fase di protestantesimo, ma questo non vuole dire che gli austriaci non sarebbero potuti più essere Cattolici.
Il lignaggio di molti re del Sud dell’India, come quelli delle dinastie Chola e Pandya, risale fino a Manu. Il Matsya Purana dice addirittura che il nostro Manu presente, Vaivasvata, era il monarca di un regno del Sud, e il suo nome era Satyavrata (20). Troviamo perciò importanti personaggi Dravidici che hanno un retaggio Aryano e viceversa. Le due culture sono così intimamente legate che è difficile stabilire quale venne prima. In realtà, questa divisione tra gli Aryani e Dravidiani è un’invenzione quasi totale.

I Dravidiani come preservatori
della cultura Vedica
Durante la lunga e spesso crudele invasione islamica, il Sud divenne il rifugio della cultura Vedica, cosa che può essere notata anche ai

(19) The History and Geography of Human genes, di Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, Princeton University Press.

nostri giorni. I riti, la corretta recitazione di mantra e altre tradizioni Vediche si trovano nel Sud ancora intatte. E’ quasi ironico pensare che i conquistati si siano dati tanto da fare per far rimanere invariata la cultura degli invasori barbari e sanguinari. Se si va nel Sud dell’India e si parla con studiosi (ma anche con  gente comune), nessuno sente che la loro cultura sia straniera.
L’oppressione di idee altrui non è mai stata caratteristica degli Hindu. Nessun conquistatore Vedico ha mai imposto la propria religione con la forza. Basta studiare un po’ per vedere quale fosse la loro mentalità, che era di tolleranza e rispetto, a meno che questa non disturbasse l’ordine sociale.
Da tutto ciò si evince in modo chiaro che l’India è sempre stata un’unica nazione sotto la medesima (anche se nel contempo variegata) tradizione culturale.

Argomentazioni astronomiche
Nel Rig-Veda si trovano conferme astronomiche di eventi accaduti nel III millennio AC e anche prima, indicando che le origini degli inni Vedici devono essere fatti risalire in epoche ben antecedenti al 3000 AC. Il contributo del mondo vedico alla filosofia, alla matematica, alla logica, all’astronomia, alla medicina e ad altre scienze, apporta una delle fondamenta delle ricerche scientifiche di tutte le civiltà che hanno provveduto a creare le basi del mondo moderno. Se i Veda fossero stati composti dopo il 1500 AC, tutta la storia dell’antichità dovrebbe essere rivista.
I testi Vedici e anche quelli successivi contengono vasti capitoli contenenti informazioni astronomiche. Il calendario Vedico era basato sulle osservazioni astronomiche degli equinozi e dei solstizi. Testi come il Vedanga Jyotish parlano di un periodo il cui l’equinozio primaverile era nel mezzo del Nakshatra Aslesha (che corrisponde al Cancro, 23 gradi 20 primi). Questo vuol dire che l’osservazione è stata fatta nel 1300 AC. Lo Yajur Veda e l’Atharva Veda parlano dell’equinozio primaverile delle Krittika (cioè le Pleiadi, il Toro) e del solstizio d’estate (ayana) in Magha (Leone). Questo indica la data del 2400 AC. Molte altre ere vengono menzionate, ma queste due appena citate hanno numerose citazioni per sostanziarle. Ciò prova che la cultura Vedica esisteva in questi periodi e che erano in possesso di un sistema di astronomia altamente sofisticato. Queste evidenze sono state completamente ignorate dagli studiosi occidentali perché avrebbero dovuto ammettere che la loro cronologia è come minimo lacunosa.
I testi vedici come il Shatapatha Brahmana e l’Aitareya Brahmana, che menzionano questi dati astronomici, menzionano un gruppo di undici re Vedici (con annesse altre informazioni dal Rig-Veda) che “hanno conquistato l’intera India da mare a mare”. Le terre degli Aryani non consistevano solo dell’odierna India, ma andavano dal Gandhara (antico nome dell’Afganistan) che è a occidente, a Videha (il Nepal) fino al Vidarbha (che corrisponde al Maharastra, quindi a Sud). I Veda raccontano di queste conquiste specificando i dati astronomici dell’equinozio di Krittika, stabilendo così in modo inconfutabile la data di tali conquiste al 2400 AC. Questi passaggi sono stati ignorati perché, in accordo ai loro pregiudizi, non potevano esistere grandi imperi in India ai tempi Vedici. La disonestà intellettuale di tali cosiddetti studiosi è andata al di là dell’ignorare o interpretare a modo proprio le evidenze letterarie, ed è giunta a modificare i versetti per avvalorare la loro teoria dell’invasione Aryana.
Anche il Dott. Rajaram presenta altre evidenze da analisi astronomiche, le quali provano che gli Aryani erano in India molto prima del 2500 AC. Bal Gangadhar Tilak e Hermann Jacobi a Bonn hanno concluso che certamente parti del Rig-Veda devono essere stati composti prima del 4000 AC.
Recenti analisi computerizzate condotte da Subhash Kak sui codici astronomici mette fine alla teoria che l’astronomia Indiana sia un derivato della sua controparte Greca. Egli ha rilevato che i periodi orbitali dei cinque pianeti maggiori (così come sono spiegati nel Rig-Veda) contengono dati sorprendentemente precisi e tutto questo ben prima che in Grecia esistesse una cultura degna di essere chiamata tale.

Conseguenza della Teoria dell’Invasione
Aryana nel contesto sociale indiano
L’analisi delle ragioni che hanno condotto gli indologi del secolo passato a proporre una teoria così destabilizzante per l’immaginario collettivo indiano, hanno indotto numerosi studiosi, che oggi si oppongono alle falsificazioni della storia antica della nobile terra, a ritenere che la nascita di tale teoria abbia avuto le seguenti ragioni:

- Dividere in modo artificiale l’India in una cultura Nord-Aryana e Sud-Dravidica, in modo da infrangere il senso di unità del popolo indiano.
- Offrire la scusa ai Britannici per giustificare la loro colonizzazione dicendo che, in fin dei conti, loro stavano facendo nel XIX secolo ciò che gli indiani avevano fatto millenni prima.
- Rendere la cultura Vedica successiva e addirittura derivata da culture medio-orientali, specialmente quella greca.
- Porre il Cristianesimo su un piedistallo di superiorità, in modo da facilitargli la diffusione in Oriente.
- Collocare le scienze indiane in una posizione di inferiorità storica, in modo che qualsiasi azione di conquista venisse ad essere giustificata.

In realtà la teoria dell’invasione Aryana getta discredito non solo sui Veda, ma anche sui Purana, i quali non sarebbero più testi di storia ma letteratura mitologica. Personaggi come Srì Krishna, Rama e Buddha sarebbero figure partorite dalla fervida immaginazione di Vyasa(21) o di chissà quale altro saggio. Il Mahabharata, invece di essere una guerra civile di proporzioni globali in cui tutti i re principali dell’India parteciparono (come viene

 (21) Alcuni non accettano neanche la storicità di Krishna Dvaipayana Vyasa, il compilatore dei Veda
descritto nell’epica stessa), verrebbe ad essere classificato come una scaramuccia tra giovani principi, più tardi esagerata da poeti entusiasti.
Le basi stesse e la ragion d’essere dell’intera civiltà Hindu vengono minate alle fondamenta.
Chi avrebbe più voglia di seguire una cultura o una religione che si basi su testi mitologici e su poeti con manie di grandezza? L’intera tradizione Hindu e quasi tutto il suo vasto e ricco retaggio viene a perdere di valore. Questa teoria, proposta da pseudo-studiosi asserviti al potere politico, propone che non c’è nulla di che andare fieri nella cultura indiana, nei suoi antenati e nei suoi saggi.
Purtroppo, in questa trappola ingannevole è caduta la maggior parte degli Hindu, alcuni dei quali giungono persino a vergognarsi della propria storia, la quale non è costituita di rivelazioni divine ma opera di nomadi sanguinari e persino stranieri.
In conclusione, la teoria dell’invasione Aryana è la costruzione di alcuni storici europei per provare la supremazia della cristianità e della civiltà occidentale, per dividere gli Hindu a scopi di conquista e di sfruttamento.

Opinioni: S.R.Rao
Times of India – 5 giugno 1993 – intervista rilasciata a Puna.
“Gli scavi archeologici di Lothal (nel Gujarat), di Kalibangan (in Rajasthan), di Harappa e di Mohenjodaro nel Sindh, hanno provato che la teoria degli archeologi europei di una invasione Aryana delle civiltà di Harappa e Mohenjodaro è falsa…”
“Mentre scavavano a Mohenjodaro, due ricercatori hanno scoperto un sistema di altari sacrificali di tipo Aryano… La similarità e la simmetria indicano una forte somiglianza con la cultura Aryana, se non addirittura la medesima cultura e ora la sola questione che gli scettici possono sollevare è che, forse, gli Harappa erano della medesima cultura ma di razza differente…”
“Gli europei, basandosi sulla loro teoria dell’invasione Aryana, hanno pensato che i geroglifici dissotterrati ad Harappa e a Lothal fossero simboli di animali. Ora è provato che si tratta di uno scritto di 64 segni, ridotti a 24 lettere alfabetiche. La riduzione di segni animali in alfabeti è stato un dono che gli Aryani hanno fatto al mondo, e nei millenni seguenti è stato adottato dalle civiltà semitiche”.
“L’iscrizione di sette lettere sulle anfore di terracotta che abbiamo decifrato dice mahakutchshahapa (che significa “Signore e protettore dei grandi mari”).
“Le nostre ricerche sulla città sommersa di Dvaraka hanno provveduto a mostrare l’esistenza di ancore di ferro di forma triangolare e quadrangolare e banchise per assicurare barche e navi. Questo prova una volta per tutte che a Dvaraka esisteva un fiorente commercio con la Siria e Cipro”.

Opinioni: Swami Vivekananda
“Gli archeologi ci sognano come aborigeni dagli occhi scuri e gli Aryani gente dalla pelle chiara venuti da “Dio solo sa da dove”.
Secondo alcuni dal Tibet Centrale, altri ci fanno arrivare dall’Asia Centrale. Pensate che alcuni entusiasti patrioti inglesi pensano che gli Aryani avevano i capelli rossi. Altri invece credono che avessero tutti i capelli neri. I capelli degli Aryani variano secondo i capelli dello studioso. Ultimamente c’è stato un tentativo di provare che gli Aryani provenivano dai laghi svizzeri. Non mi dispiacerebbe vedere tutte queste teorie affogate in quei laghi insieme ai loro inventori. Qualcuno dice che provenivano dal Polo Nord. Il Signore benedica gli Aryani e le loro abitazioni! La verità è che non esiste nulla nelle nostre scritture, neanche una parola che provi che gli Aryani venissero da qualche altra parte se non dall’India stessa…”
“La teoria che la casta Sudra (i Dravidici) non fossero Aryani…è sia illogica che irrazionale. In quei giorni non sarebbe stato possibile che pochi Aryani si stabilissero e vivessero con qualche centinaia di migliaia di schiavi al loro comando. Gli schiavi se li sarebbero mangiati, avrebbero fatto di loro del chutney (22) in cinque minuti. La sola spiegazione possibile viene data dal Mahabharata, dove si dice che all’inizio del Satya Yuga c’era una sola casta, quella dei Brahmin, e che sulle basi di differenti occupazioni si sono poi divisi in differenti caste. Questa è la sola spiegazione razionale che può essere data. E nel prossimo Satya Yuga tutte le altre caste torneranno alla stessa condizione (23).

Opinioni: David Frawley
“Ulteriori scavi hanno rivelato che la cultura della valle dell’Indo non fu distrutta da un’invasione, ma da cause interne, probabilmente da inondazioni. Recentemente altre antiche città sono state ritrovate (come Dvaraka, scoperte da S.R.Rao e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia dell’India) che fungono da intermediarie tra la cultura Hindu e
quella successiva del periodo delle invasioni

(22) Una spesie di marmellata
(23) The Complete Work of Swami Vivekananda

greche. Questo elimina la cosiddetta “era buia” che ha seguito l’invasione Aryana e mostra una costante urbanizzazione dell’India che ci  riporta fino agli inizi della cultura Hindu”.  “Lo Shivaismo ha la stessa base culturale delle altre religioni, cioè i Veda…”
“ Secondo la teoria dell’invasione Aryana, questi erano nomadi che non avevano mai avuto nulla a che fare col mare. Eppure il Rig-Veda contiene quasi cento citazioni riguardanti l’oceano (samudra) e una dozzina riguardanti le navi e i fiumi che giungono al mare. Gli antenati Vedici come Manu, Turvasha, Yadu e Bhujyu sono personaggi salvati dalla furia degli oceani. Il Dio del mare, Varuna, è il padre di molti saggi Vedici e l’iniziatore di molte famiglie di Rishi come Vasistha, Agastya e Bhrigu. Allo scopo di proteggere la loro teoria, questi dicono che il termine Vedico e Sanscrito samudra originalmente non significava oceano, ma qualsiasi vasto corpo d’acqua, in modo particolare il fiume Indo nel Punjab. Questo è un chiaro esempio di deliberata alterazione. Nel Rig-Veda, il Sarasvati “si tuffa nel samudra” e nell’indice alla traduzione del Rig-Veda fatta da Griffith (che era fra quelli che sostenevano questa tesi) troviamo la parola samudra tradotta da lui stesso con “oceano” o “mare”. Se “samudra” non significa mare, perché lo ha tradotto in quel modo? E’ evidente che gli Aryani vivevano in regioni dove c’era il mare”.
“Un altro professore, Colin Renfrew, pone gli Indo-Europei in Grecia nel 6000 AC… Questi dice che, nonostante gli sforzi di Wheeler, è difficile vedere cosa ci sia di particolarmente non-Aryano nella civiltà della valle dell’Indo. Il Prof.Renfrew suggerisce che la civiltà della valle dell’Indo era, di fatto, sempre stata Indo-Aryana…
“L’ipotesi che gli antichi linguaggi Indo-Europei fossero parlati nel nord dell’India, nel Pakistan e in Iran nel VI millennio AC ha il merito di armonizzarsi con la teoria delle origini dei linguaggi Indo-Europei in Europa. Enfatizza inoltre la continuità nella valle dell’Indo e nelle aree adiacenti dal primo neolitico fino alla fioritura della civiltà della valle dell’Indo”.

Opinioni: Bhagwan Gidwani
Segue un’intervista rilasciata da Bhagwan Gidwani della Tipu Sultan, la celebre serie TV, rilasciata al Times of India il 19 novembre 1995 riguardante il suo ultimo libro, intitolato The Return of Aryans.
…Il suo ultimo lavoro, The Return of Aryans (Il Ritorno degli Aryani) è una novella storica che diventerà presto un serial TV. Lì viene dichiarato che gli Aryani non vennero a civilizzare l’antica India dall’Asia del nord, come viene fatto credere dagli storici e dagli archeologi; piuttosto vennero dal Sind, sulle rive del fiume Indo, e civilizzarono il resto del mondo. Questo racconto (contenuto in un libro di 944 pagine) ha preso 18 anni per giungere a termine.
Estratti dell’intervista:
Domanda: Perché c’è voluto tanto tempo per terminare questa novella sugli Aryani?
Risposta: Anche se il titolo è Il Ritorno degli Aryani, il libro tratta delle antiche e dimenticate radici dell’Induismo. Noterà, infatti, che la storia degli Aryani inizia solo a pagina 697 del mio racconto.
Domanda: Perché, allora, il titolo non lo dice?
Risposta. Perché una novella con un titolo che contiene le parole Hindu o Induismo non ha mercato, certamente non un mercato internazionale. Negli ultimi 40 anni, l’Induismo è diventato origine di imbarazzo per gli stessi indiani. Molti scrittori e sceneggiatori hanno fatto carriera denigrando l’Induismo e la cultura tradizionale indiana; la stampa ha dipinto l’India Hindu come una presenza oscurantista, castista e quant’altro di peggio si possa dire; i politici hanno strumentalizzato e volgarizzato l’Induismo per fini elettorali. Questo non sarebbe stato un grande problema se la nostra fosse una cultura minore, cosa che non lo è. Io credo, invece, che questa contenga il miglior corpo di idee che l’umanità abbia mai prodotto… il mio scopo è restituire l’orgoglio di essere Hindu tra tutti gli indiani. E questo non può essere fatto senza riproporre la sua vera storia, che è praticamente sconosciuta anche alla mia generazione, che dire dei nostri figli e nipoti.
Domanda: In tutto questo cosa c’entrano gli Aryani?
Risposta: Prima di diventare Aryani, quelli erano Hindu. Io so che queste affermazioni scandalizzeranno gli storici, specialmente perché provengono da un intruso come me (in quanto non sono uno storico). Mi sono sempre chiesto perché, specialmente tra gli storici indiani, tutti avessero accettato la teoria occidentale che gli Aryani fossero discesi dall’Asia del nord. Io ho letto quasi 150 tra i più importanti libri che affrontano l’argomento, ma nessuno è stato in grado di fornire una sola prova convincente che gli Aryani venissero dal nord; solo supposizioni. Coscienti di questa mancanza, quegli storici e archeologi citano le similarità esistenti fra il Sanscrito e il Latino o i nomi di fiumi e montagne europee che possono trovare corrispondenze nella nostra letteratura. Ma queste coincidenze potrebbero essere girate dall’altra parte, e cioè che siano stati gli Aryani ad andare in quei posti a proporre la loro cultura, e non viceversa. Perché no? Io chiedo, perché no? Guardando all’India di oggi e ancor più all’India di ieri, quando era una colonia dei Britannici, sono convinto che gli occidentali non riusciranno mai a sopportare l’idea che l’India possa aver contribuito alla loro civilizzazione. I nostri storici dovrebbero prendere seriamente le tesi che ho esposto nel mio libro. Forse non saranno d’accordo con ciò che dico, ma il dibattito sarà costruttivo. Se non altro, litigheremo per qualcosa di importante.

Conclusione
Da questo breve studio emergono le seguenti verità:

- Che l’invasione Aryana e la teoria delle diverse razze e di un conflitto Aryano-Dravidico sono una fabbricazione di alcuni studiosi europei del XIX secolo, in quanto non ha basi di alcun tipo. Questa viene usata persino oggi per ragioni politiche.

_ Che gli inni del Rig-Veda sono stati composti e completati prima del 3700 AC.
- Che il linguaggio degli scritti Hindu è di origine Sanscrita, il linguaggio dei veda.

- Che l’antica civiltà della valle dell’Indo era di natura Vedica.

- Che alcune delle civiltà Medio-orientali hanno una matrice fortemente Vedica, per quanto degenerata, come evidenziato dai ritrovamenti archeologici e da analisi linguistiche.

- Che ci sono solide possibilità che la fine della civiltà della valle dell’Indo e del Sarasvati sia dovuta a disastri naturali, come il prosciugamento del fiume Sarasvati, che ha causato massicce emigrazioni verso aree più sicure.






BIBLIOGRAFIA

- The Aryan Invasion. Theory and Indian Nationalism (1993) di Shrikanr G.Talageri (Voice of India)
- The Astronomical Code of India (1992) di Subhash Kak
- Vedic Aryans and the Origins of Civilization (1995) di N.S.Rajaram e David Frawley (World Heritage Press)
- Aryan Invasion of India: The Myth and the Truth di N.S.Rajaram (Voice of India Publication)
- Indigenous indians: Agastya to Ambedkar (1993) di Koenraad Elst
- New Light on The Aryan Problem: Manthan Oct. 1994
- Journal of Deendayal Research Institute
Dawn and Development of the Indus Civilization (1991) di S.R.Rao (Aditya Prakashan)
- Gods, Sages and Kings: Vedic Secrets of Ancient Civilization di David Frawley
- Demise of the Aryan Invasion Theory di Dr.Dinesh Agrawal

Altre:
- Atharva-Veda  IX.5.4
- Rig-Veda II.20.8 & IV.27.1
- Rig-Veda VII.3.7; VII.15.14; VI.48.8; I.166.8; I.189.2; VII.95.1
- Lothal and the Indus Valley Civilization, di S.R.Rao, Asia Publishing House, Bombay, India, 1973, p.37.
- Ibid, p.158
- Manu Samitha II.17-18
- Note Rig-Veda II.41.16; VI 61.8-13; I.3.12
- Rig.Veda VII.95.2
- Studies from the post-graduate Research Institute of Deccan College, Pune, e il Central Arid Zone Research Institute (CAZRI), Jodhapur. Confermato dal MSS (multi-spectral scanner) e dalle fotografie prese dal Satellite Landsat.
- MLBD Newsletter (Delhi, India: Motilal Banarasidass), Nov.1989. Anche Sriram
- Bharatiya Historiography, Itihasa Sankalana Samiti, Hyderabad, India, 1989, di sathe, pp. 11-13
- Vedanga Jyotisha of Lagadha, Indian National Science Academy, Delhi, India, 1985, pp. 12-13
- Aitareya Brahmana, VIII.21-23
- Shatapat Brahmana, XIII.5.4
- The Hymns of the Rig-Veda di R.Griffith, Motilal Banarsidas, Delhi, 1976
- The Indo-Aryan invasions: Cultural Myth and Archeological Reality. J.Shaffer ediz. J.Lucas (Ed)
- The people of South Asia, New York, 1984, p. 85
- The Proto-Indoaryans di T.Burrow, Journal of Royal Asiatic Society, No.2, 1973, pp. 123-140.
- The Script of Harappa and Mohenjodaro and its connection with other scripts di G.R.Hunter, Kegan Paul, Trench, Trubner & Co., London, 1934.
- Studies in the Indus valley Inscriptions, Mitchiner, Oxford & IBH, Delhi, India, 1978.
- A Frequency Analysis of the Indus Script, Cryptologia, July 1988, Vol XII, No 3
- Indus Writing, The Mankind Quarterly, Vol 30, No 1 & 2, Autunno-Inverno 1989.
- On the Decipherment of the Indus Script – A Preliminary Study of its connection with Brahmi, Indian Journal of History of Science, 22 (1): 51-62 (1987)
- The Antecedents of Civilization in the Indus Valley di J.F.Jarrige and R.H.Meadow, Scientific American, Agosto 1980
- Archeology and Language di C.Renfrew, Cambridge University Press, New York, 1987